Niccolò Canussio - De restitutione Patriae




NICCOLÒ CANUSSIO E LE MOTIVAZIONI STORICHE DELLA SUA OPERA

Cesare Scalon

Alla fine del Quattrocento, il fuoco di una profonda rivalità fra Udine e Cividale covava ancora sotto la cenere, pronto a riattizzarsi alla minima occasione, nonostante la pace imposta al Friuli dal nuovo ordine veneziano. Le guerre e gli atti di brigantaggio dell'ultimo secolo di patriarcato, che si erano conclusi talora con alcuni episodi clamorosi come l'uccisione di Bertrando patriarca appoggiata dai cividalesi o l'assalto da parte degli udinesi alla carovana papale di Gregorio XII costretto a chiudere in fretta e furia la sessione del concilio di Cividale del 1409, avevano fatto posto sotto il nuovo dominio della Repubblica a una serie di schermaglie procedurali e di rivendicazioni sul diritto di precedenza fra le due città [1] Sfogliando i verbali del Consiglio della Magnifica Comunità cividalese, si può vedere come l'arrivo del luogotenente veneto mandato dalla Dominante a reggere il Friuli con scadenza annuale o la nomina del nuovo vicario patriarcale incaricato di amministrare una delle diocesi più vaste e più ricche dell'intera cristianità occidentale, diventassero occasione per rinfocolare l'astio verso Udine rivendicando alla città ducale, in nome degli antichi privilegi, la sede della prima autorità politica o religiosa della provincia [2]. Tuttavia nulla poteva ormai il peso della tradizione e del passato contro uno sviluppo commerciale ed economico inarrestabile di Udine, favorita dalla posizione geografica al centro delle direttrici del traffico tra Venezia e l'Austria. Per rendersene conto basterebbe citare il volume di reddito delle varie comunità della Patria, calcolato in base alle imposte assegnate dalla Repubblica nel 1452: su un totale di 2495 marche che l'intero Friuli doveva versare nelle casse dello stato, mille erano a carico della sola Udine a fronte di sole 355 marche di Cividale [3].
In questo clima di accesa contrapposizione fra le due città della Patria, alcune affermazioni contenute nella breve storia del Friuli, scritta e pubblicata nel 1482 da Marcantonio Sabellico al fine di nobilitare Udine, suonavano come provocazione offensiva e intollerabile all'orecchio dei Cividalesi. L'umanista che, dopo aver insegnato nel capoluogo friulano, era stato chiamato a reggere la scuola veneziana di S. Marco assurgendo in breve tempo quasi al ruolo di storico ufficiale della Repubblica, aveva osato mettere in dubbio nel suo De vetustate Aquileiae et Foriiulii le origini romane di Cividale [4]. Nella descrizione della Patria, con cui si apre il primo libro, arrivato a Cividale, cos“ egli aveva scritto: "Il Natisone lo taglia col suo letto aspro e dirupato. È insigne per antichità fra le città fortificate della Patria. Ameremmo supporre trattarsi del Forumiulii che Tolomeo menziona fra le città mediterranee abitate dai Carni dopo Aquileia e Concordia, se ancora al presente, in mezzo ai monti della Carnia, non fossero conservati i resti di un'antichissima città fortificata, che gli abitanti del posto chiamano Iulium, quantunque Plinio indichi quello sito sui monti non col nome di Forumiulium, bensì con quello di Carnicum Iulium, cosicché potrebbe darsi che Iulium sia una città diversa da Foroiulio, perché quello sta in mezzo alle Alpi, questo giace ai piedi delle montagne" [5]. Il dubbio, appena insinuato, era stato ripreso più avanti dal Sabellico nel quarto libro, allorché affrontava il periodo della dominazione longobarda. Dopo aver narrato, seguendo la Storia di Paolo Diacono, che re Alboino aveva messo a capo della provincia friulana il nipote Gisulfo nominandolo duca del Friuli, così aveva aggiunto: "Parlando qui di Friuli volgarmente si intende con Paolo Diacono che Forum Iulii vada identificato con un insediamento particolare ora chiamato Cividale" [6]. Poche righe più sotto, il seguito del racconto di Paolo Diacono con l'assedio degli Avari, l'uccisione di Gisulfo, e l'incendio della città avvenuto nel 610, aveva offerto all'autore nuova occasione di esprimere in modo abbastanza chiaro il suo pensiero in merito alle origini di Cividale. Si leggeva infatti nelle fonti citate dal Sabellico, che dopo il tradimento di Romilda, che aveva aperto al nemico le porte, "la città fu talmente divorata dal fuoco appiccato in più punti, che di essa al tempo presente non rimangono neppure i resti. Se le cose stanno in questo modo, continuava il Sabellico, dimostri Paolo Diacono che ha scritto queste pagine, in che modo Cividale, di cui financo le vestigia dovrebbero essere scomparse e che invece al presente è ancora tra le città più popolose della Patria, possa essere identificato con il Forumiulium distrutto dagli Avari!" [7].
Da queste provocazioni aveva preso corpo l'idea del Canussio di prendere in mano la penna per difendere l'onore della sua città: "Marco Antonio Sabellico, affrontando la storia dalla descrizione della patria, si è sforzato di dare lustro al popolo degli Unni (con questo appellativo egli definisce gli udinesi facendo propria l'etimologia del Sabellico), mendicando consensi da tutta la provincia, e, ben sapendo che per essi manca ogni sicura prova d'antichità, negata per i primordi l'esistenza di Iulium, sostiene che la sola Aquileia ha diritto di considerarsi antica. Così allo scopo di far risaltare Hunnium ha eliminato Iulium, pensando che nessuno mai avrebbe svelato le insidie di questa storia. Leggi me, o Sabellico; che figlio e fautore di Iulium qui mi presento, pronto a ribattere alla tua storia con le lodi della patria ereditate dal passato, che proprio tu, passando oltre col capo girato, hai voluto stroncare" [8].
Si trattava quasi di una difesa d'ufficio, visto che Niccolò, quando scrisse queste pagine, rivestiva il ruolo di cancelliere del Comune di Cividale. Nonostante il manoscritto coevo da cui si ricava la presente edizione e le copie successive siano prive di sottoscrizioni o di datazioni, non è difficile partendo dall'esame del testo stabilire con una certa precisione il periodo in cui l'opera fu composta. Nel capitolo ottavo del secondo libro, l'autore ricorda che fu il patriarca Niccolò Donato a riportare la sede patriarcale a Cividale alla fine del 1493. "Con il suo aiuto e a spese del pubblico erario i Forogiuliesi ricostruirono il tempio che era stato dei vescovi, dedicato alla Santa Vergine, splendida realizzazione per la città e degno di fama per l'eternità. Così i Forogiuliesi con pubblico decreto e a memoria dei posteri iscrissero il nome del patriarca davanti alle porte del tempio perché in tal modo fosse reso eterno" [9]. L'epigrafe in questione fu posta in realtà dai Cividalesi dopo la morte del Donato, avvenuta il 3 settembre 1497, per ricordare le benemerenze acquisite dal patriarca nei confronti della città [10]. D'altra parte i Versi in lode dell'opera di Quinzio Emiliano Cimbriaco, premessi al lavoro, furono scritti entro il 1499, cioè prima della morte dell'autore. L'opera va pertanto datata tra la fine del 1497 e gli inizi del 1499 [11].
Niccolò Canussio veniva da una delle famiglie più in vista della città. Il padre, Antonio di donna Betta, era stato per diversi anni maestro della Scuola e cancelliere del comune cividalese. La madre di nome Rivignana, ultima erede dei Canussio, aveva portato in dote assieme al titolo nobiliare un patrimonio ingente [12]. Dalla menzione che Giovanni Battista della Porta fa nel suo Indice dei notai friulani, apprendiamo che il nostro Niccolò era iscritto all'albo dei notai cividalesi almeno dal 1462 [13]. Due lettere, da lui rogate nel 1469, attestano che Niccolò in quegli anni lavorava in qualità di "scriba et notarius" al servizio della cancelleria patriarcale [14]. Nel 1489 egli fece il suo ingresso nel Consiglio di Cividale, che lo annoverò ininterrottamente fra i suoi membri per oltre un decennio. Nel primo semestre del 1492 fu eletto provveditore della città assieme a Niccolò Conti. All'inizio del 1495 assunse la carica di cancelliere che mantenne fino ai primi mesi del 1500 [15]. Le dimissioni dall'ufficio furono descritte dal Canussio in persona nella redazione del verbale della seduta in cui esse furono presentate in data 16 marzo 1500: "Convocato tutto il Consiglio, io Niccolò Canussio alzandomi in piedi, dopo aver ringraziato per essere stato chiamato a svolgere per diversi anni con pubblico stipendio l'ufficio di cancelliere e scriba di questa Magnifica Comunità, essendo occupato in altri impegni, rassegnai le dimissioni dall'incarico e, poiché un simile ufficio abbisognava di uno scrivano provato e capace, mi permisi di suggerire come mio successore ser Alessandro Miuttino, che aveva già dato buona prova di sé. Accettate dunque le dimissioni e ascoltato il suggerimento che avevo dato, tenendo conto inoltre della preparazione dell'interessato dopo aver chiesto, secondo la consuetudine, il parere di ciascuno, il predetto ser Alessandro Miuttini fu eletto unanimemente alla carica di cancelliere e quindi accettò con l'onorario solito" [16].
Non è possibile stabilire con certezza quali fossero gli impegni così urgenti che avevano spinto il Canussio a dare le dimissioni. Motivi di salute o reali impegni di lavoro? In ogni caso Niccolò sopravvisse solo pochi mesi a questa decisione: la morte lo colse infatti il 13 agosto 1500. Il 7 maggio dell'anno successivo il figlio si presentò al Consiglio della città per chiedere il saldo dei crediti dovuti al padre defunto [17].
Il cividalese Marcantonio Nicoletti parlando dell'opera del Canussio alcuni decenni dopo la sua morte, sintetizzò con estrema chiarezza i meriti del concittadino: "Pur non sono molt'anni Niccolò di Canussio, pareggiando con lettere la gloria delle armi de' predecessori, in un suo volumetto distinto in due libri, con verità e con eloquenza restituì alla patria sua tutte le operazioni memorabili de' suoi, e de' suoi duchi, e de' patriarchi, e de' cittadini, che dall'invidia de' scrittori erano ovvero tacciute, ovvero ascritte ad altri luoghi" [18].
A parte l'enfasi con cui questo giudizio viene espresso, le parole del Nicoletti spiegano il senso più autentico della "restitutio patriae" fatta dal Canussio. Si era trattato di restituire alla patria cividalese quanto ad essa apparteneva, dopo che il Sabellico aveva cancellato con un colpo di spugna non solo il nome del fondatore, ma anche la memoria stessa del passato e una storia che risaliva senza soluzione di continuità all'antichità romana, rendendo in tal modo incomprensibili le vicende millenarie dell'intero Friuli.
In realtà al Canussio va riconosciuto il merito di aver utilizzato per la prima volta in modo ampio e sistematico, nella storiografia friulana, il rilevamento archeologico come metodo per l'accertamento della verità storica. Nel clima culturale favorevole alla riscoperta dell'antichità classica, dovuto al fervore degli studi umanistici, gli inizi della ristrutturazione edilizia avvenuta a Cividale verso la fine del XV secolo consentirono a Niccolò di dimostrare le origini romane della sua città esibendo il lastricato delle strade e il mosaico dei pavimenti, le epigrafi e le statue rinvenute durante gli scavi.: "In qualunque punto mediante scavi nel terreno riportiamo alla luce la cinta dell'antica fortezza, puoi ammirarne, indegnamente sepolta dalla molteplice rovina, la poderosa struttura eseguita a regola d'arte; inoltre in un campo attiguo alla città abbiamo dissotterrato in vari punti urne di pietra che rendono eterne, come per una funebre onoranza, le ceneri dell'antichità ... Chi mai potrebbe negare che Iulium sia stata una colonia romana, dal momento che ha tale sovrabbondanza di monumenti antichi? Era giusto allora che il Sabellico per pura rivalità trascurasse queste vestigia del passato senza vergognarsi di aver profanato la storia di Iulium e di averla sconfessata con pietose favole? La storia patria deve essere dunque ristabilita, almeno per quanto lo consente la verita storica" (libro I, cap. 1).
Probabilmente gli oltre quindici anni intercorsi fra la pubblicazione del Sabellico e la composizione del De restitutione patriae servirono al Canussio per scavare e raccogliere "sul campo" le testimonianze archeologiche cui si fa ampio riferimento agli inizi dell'opera e che costituiscono l'apporto più significativo del Cividalese nel settore degli studi storici. Nonostante la vastità e l'evidenza dei reperti citati dal Canussio, la "verità storica" rivendicata dal nostro stentò a imporsi all'interno di una storiografia friulana, condizionata in parte da pregiudizi politici e ideologici e rinchiusa in un provincialismo angusto. Mentre Giovanni Candido, nei suoi Commentarii de i fatti d'Aquileia pubblicati a Venezia nel 1544, tentò di conciliare posizioni contrapposte, Giovanni Francesco Palladio degli Olivi e Giovanni Giuseppe Capodagli si fecero ostinati portavoce, nel corso del Seicento, della tesi priva ormai di qualsiasi fondamento che identificava l'antica Forum Julii romana con Udine, la nuova capitale del Friuli [19]. Scriveva il Palladio nel 1660: "Alboino ... lieto, e trionfante fece l'ingresso nella città di Udine, che dopo la caduta di Aquileia, fra gli altri luoghi del Paese, in grandezza e in numero di gente haveva il primo luogo. Teneva essa città in questi tempi anche il nome di Forogiulio, così à punto sempre lo scrive Paolo Diacono" [20]. A queste parole faceva eco nel 1665 Giovanni Giuseppe Capodagli nella sua Udine illustrata: "Quelli del sangue longobardo, che nacquero, overo discesero da altri nati in Udine; overo nel Foro di Giulio, ch'era Udine all'hora così detta da diversi, e vissero, mentre dominarono i Longobardi in Italia" [21].
Bisognò arrivare al '700 con la ripresa degli studi antiquari e degli scavi archeologici per vedere difinitivamente risolta a favore della verità storica la contesa fra le due città friulane. "Dove sia in presente il sito di questa città Colonia Forogiulio, che a tutta questa nostra provincia diede il suo nome", scrive il Liruti, "fu nei passati secoli XVI e XVII varia discordante opinione tra' dotti cittadini delle nostre due città di Cividale, e di Udine .... Ora però che siamo in un secolo più illuminato, e sgombro da certa fissezza, e senza certi pregiudici, pare che la gara, e la contesa si sia ne' dotti e ragionevoli signori udinesi raffreddata, e che le ragioni Cividalesi evidenti gli abbiano, se non persuasi e convinti affatto, almeno ridotti alla convenienza di quietamente e in silenzio rimanere contenti della gloria del lor stato presente" [22]. Il Liruti registrò in queste pagine le conclusioni inoppugnabili alle quali erano arrivati gli archeologi del suo tempo raccogliendo e ordinando in maniera sistematica i reperti raccolti durante gli scavi. Egli tralasciò tuttavia, come spesso accade nei confronti degli studiosi che ci hanno preceduto, di riconoscere all'opera del Canussio, che pure conosceva, il merito di aver anticipato di quasi tre secoli tali conclusioni. La presente pubblicazione, che riporta finalmente alla luce il testo del De restitutione patriae di Niccolò Canussio rimasto sepolto nelle biblioteche per cinquecento anni, si propone d "restituire" all'autore il merito e l'onore che gli spettava, augurandosi che egli ritrovi nella storiografia friulana il posto che gli compete [23].

Note

[1] Sul patriarcato di Bertrando da Saint Geniès e la sua tragica conclusione si rinvia a P. PASCHINI, Storia del Friuli, Udine 1975, 463-496. Per quanto riguarda il concilio di Cividale, senza citare l'ampia bibliografia in proposito, ci limitiamo a segnalare l'episodio della fuga di Gregorio XII ripreso ancora da PASCHINI, Storia, 705-706. Si veda anche il mio Libri, scuole e cultura nel Friuli medioevale. "Membra disiecta" dell'Archivio di Stato di Udine, Padova 1987 (Medioevo e Umanesimo, 65), 66-68. Il trattamento riservato dagli Udinesi a papa Gregorio pesò in seguito come una maledizione sull'intera patria, stando almeno alla richiesta fatta a Udine il 29 settembre 1465 in pieno arengo di chiedere ufficialmente al pontefice regnante che togliesse questa maledizione (Udine, Biblioteca Civica, Archivum Civitatis Utini, Annales, 33, c.78r).

[2] Per quanto riguarda la richiesta della città di essere sede del potere ecclesiastico e civile si vedano, a puro titolo di esempio, i verbali del Consiglio di Cividale del 2 maggio e del 9 giugno 1452, che registrano le relazioni degli ambasciatori inviati a Roma e a Venezia per sostenere le ragioni della città: Cividale, Archivio Comunale Antico, Diffinitiones, sub a.1452, c.41r e 50v.

[3] Cividale, Diffinitiones, sub a. 1452, c.28r.

[4] Per Marcantonio Coccia detto Sabellico e la relativa bibliografia si veda F. TATEO, in Dizionario biografico degli italiani, 26, Roma 1982, 510-515, cui si devono aggiungere i contributi recenti di F. GAETA, Storiografia, coscienza nazionale e politica culturale nella Venezia del Rinascimento, in Storia della cultura veneta, 3,1, Vicenza 1980, 65-66; M. ZORZI, La Libreria di San Marco. Libri, lettori, società nella Venezia dei Dogi, Milano 1987, 95-97. Del periodo udinese parlano in modo particolare D. ONGARO-G. BIANCHI, Le scuole pubbliche in Udine nel secolo XV, Udine 1885, 40-49; M. DELLA VENEZIA, Sabellici carmen in munitionem Sontiacam: brevi notizie sulla permanenza di A.C. in Udine, "Studi Goriziani", 3 (1925), 171-184. GAETA ricorda che "il De vetustate Aquileiensis patriae non godette fama brillante e che scopertamente era un omaggio affrettato al Friuli e a Venezia, composto con criterio di omettere "que vel omnino levia sunt vel talia ut plus odii quam gratiae sint allatura" e che mirava a riscuotere l'approvazione di coloro il cui favore intendeva sollecitare". Il Marciano lat. X 106 (3726) con il De vetustate patriae Aquileiensis del Sabellico apparteneva al fondo manoscritto di Domenico Grimani cardinale di San Marco e patriarca di Aquileia (G. VALENTINELLI, Catalogus codicum manuscriptorum de rebus Foroiuliensibus, 339).

[5] La citazione, secondo una nostra traduzione, è ripresa da M.A. SABELLICUS, De vetustate Aquileiae, in Opera omnia, Venetiis, Iacobus Pentius de Leuco, MCCCCCII, c.l20r.

[6] SABELLICUS, De vetustate, c.128v.

[7] SABELLICUS, De vetustate, c.l29r.

[8] NICCOLÒ CANUSSIO, De restitutione patriae, Proemio, (qui di seguito).

[9] Qui di seguito II, 8. Su Niccolò Donato, che fu eletto patriarca di Aquileia il 4 novembre 1493 e morì a Cividale il 3 settembre 1497, si veda almeno C. EUBEL, Hierarchia catholica medii et recentioris aevi, 2, Monasterii 1913, 92 e PASCHINI, Storia, 758.

[10] L'iscrizione è riportata da G. DE RENALDIS, Memorie storiche del patriarcato di Aquileia, Udine 1888, 172.

[11] Quinzio Emiliano Cimbriaco, che negli ultimi anni della sua vita esercitò il suo magistero letterario a Cividale, morì nel giugno del 1499: G.G. LIRUTI, Notizie delle vite ed opere scritte da letterati del Friuli, 1, Venezia 1760, 382-394; si veda anche G. GRION, Guida storica di Cividale e del suo distretto, Cividale 1899, 286. Per una bibliografia del maestro vicentino si rinvia a V. BRANCA, in E. BARBARO, Epistolae, Orationes et Carmina, II, Firenze 1943 (Nuova collezione di testi umanistici inediti o rari, VI) 141. Di Quinzio Emiliano parla in particolare A. BENEDETTI, L'attività educativa e poetica del Cimbriaco (1449-1499) e la sua influenza nel diffondersi della cultura umanistica in Friuli, in "Atti dell'Accademia di scienze, lettere e arti di Udine", s.VIII, 3 (1960-63), 109-205; BENEDETTI, Storia di Pordenone, Pordenone 1964, 205-206. Nel contesto di un discorso sulle scuole pordenonesi di lui parla S. CAVAZZA, Le scuole e la vita culturale dal Medio Evo al Cinquecento, in La chiesa Concordiese 389-1989, Pordenone 1989, 104-108. In una procura fatta a San Daniele il 18 giugno 1502, si ricorda il notaio Valentino Valentinis da Treppo quale procuratore degli eredi del poeta già defunto: Udine, Archivio di Stato, Fondo notarile antico, b.3880/1, sub a. 1452, n.n.. Completamente destituita di fondamento è da considerare la data di morte (1559) fornita da F. DI MANZANO, Cenni biografici dei letterati ed artisti friulani, Udine 1884, 80-81 e ripresa acriticamente da G. MARCHETTI, Il Friuli: uomini e tempi, Udine 1974, 954 e da Z.M. DAL BAS, Il libri scrit a man "De restitutione patriae" di Culau Cianus, "Sot la nape", 26, 3-4 (1974), 68.

[12] Per la famiglia di Niccolò si rinvia a E. DEL TORSO, Genealogie: Udine, Biblioteca Comunale, Fondo del Torso, ms. 162/111, c.l67r; DAL BAS, Il libri, 68. Per l'incarico di maestro e cancelliere del comune di Cividale affidato ad Antonio di donna Betta, si rinvia ai verbali del Consiglio conservati presso il Museo Archeologico di questa città, dove si ricorda tra l'altro una missione a Roma affidata ad Antonio nel 1448 (Diffinitiones, sub a. 1448, c.4r); su di lui si veda anche G. GRION, Guida storica di Cividale e del suo distretto, Cividale 1899, 284.

[13] G.B. DELLA PORTA, Index alphabeticus notariorum Patriae Foriiulii, Udine 1931 (ms.), sub voce: Udine, Biblioteca Civica.

[14] La prima lettera è datata Cividale, 8 luglio 1469, la seconda Cividale, 21 ottobre 1469. Quest'ultima si riferisce all'eredità di Guarnerio d'Artegna, a seguito di una richiesta presentata da Samaritana nipote dell'umanista: San Daniele del Friuli, Archivio Storico, b.36, c.3r. Vicario generale e governatore del patriarcato in questo periodo era Andrea Lorenzi vescovo di Anagni: P. PASCHINI, I vicari generali nella diocesi di Aquileia e poi di Udine, Vittorio Veneto 1958, 16. Di un Niccolò Canussio scriba e cancelliere della curia patriarcale di Aquileia parlano G. VALE, Itinerario di Paolo Santonino, Città del Vaticano 1958, 16; G. BIASUTTI, Mille anni di cancellieri e coadiutori nella curia di Aquileia ed Udine, Udine 1967, 50. Il chierico Niccolò Canussio menzionato il 13 dicembre 1503 da G. DE RENALDIS, Memorie storiche, 182 e da BIASUTTI, Mille anni, 50, non può essere il notaio autore del De Restitutione patriae: si veda qui sotto alla n. 17..

[15] Si veda a tale proposito il prospetto dei componenti il Consiglio con le rispettive attribuzioni all'interno di esso, come è riportato all'inizio di ogni semestre nei verbali della Comunità di Cividale: Cividale, Museo Archeologico Archivio Comunale Antico, Diffinitiones ab anno 1489 ad annum 1500. Niccolò è menzionato come provveditore nel primo semestre 1492 anche da GRION, Guida, 167.

[16] Cividale, Diffinitiones, sub a.l500, c.21v.

[17] Cividale, 7 maggio 1501: "De Canussio filio olim ser Nicolai cancellarii petentis calculari rationes salarii sui patris et temporis quo servivit co munitati, quia si est creditor intendit satisfieri a comunitati. Diffinitum fuit quad committetur ser Belforto quod calculet rationes suas" (Cividale, Diffinitiones, sub a. 1501). Va pertanto anticipata al 1500 la data di morte di Niccolò che si legge nel Necrologium Civitatense: "Nobilis vir d. Nicolaus de Canussi, qui preclarum opus de restitutione patriae et de antiquitatibus Civitatis Austriae et de eius nobilitate edidit, obiit MDI, cuius anima semper in pace requiescat" (13 agosto: Cividale, cod. C, c.23r).

[18] Udine, Biblioteca Civica, Fondo Joppi ms. 635, c.lv. Il manoscritto citato è una copia del De restitutione patriae fatta il secolo scorso avendo come antigrafo il ms. 793 del Fondo Principale della stessa biblioteca.

[19] G. CANDIDO, Commentarii de i fatti d'Aquileia, Venetia, per Michele Tramezino, 1544, 18, attribuisce l'origine romana sia a Cividale, sia a Udine, oltre che a Zuglio Carnico: "E Giulio Carnico già città, e Giulio Castello, hora città d'Austria, hanno avuto da Cesare il nome et Udine secondo Plinio rovinata la cui rocca da lui edificata fu detta Giulia, ove molti antichi vestiggi si veggono. Accrebbe questa città Attila re de Hunni mentre che assediava Aquileia...". Più avanti (p. 40), il Candido cita espressamente il De restitutione patriae del Canussio a proposito delle famiglie nobili cividalesi.

[20] G.F. PALLADIO DEGLI OLIVI, Historie della provincia del Friuli, Udine, Nicolò Schiratti, 1660, 20.

[21] G.G. CAPODAGLI, Udine illustrata da molti suoi cittadini, Udine, Nicolò Schiratti, 1665, 5. Sempre parlando di Udine, il Capodagli ricorda che "essendo passato Giulio Cesare ... egli se la elesse per sua stanza ... che quella fu poi dal suo nome detta Giulia, e questo, Foro di Giulio" (p. 13).

[22] G.G. LIRUTI, Notizie delle cose del Friuli, I, Udine 1776, 212-213. Il giudizio espresso dal Liruti tradisce una lettura affrettata e superficiale sia dell'opera del Canussio, sia del De vetustate Aquileiae del Sabellico che l'aveva preceduta: "Quest'opera manoscritta del Canussio, ch'io tengo in copia tra' miei Anecdoti Forogiuliesi ... è divisa in due libri, ed ognuno di questi in capi, è sparsa di qualche favola, come osservò il Vossio, ed è espressamente scritta contro il Sabellico, che volle onorare Udine col nome di Hunnium, disegnando con tal nome, la origine di quella città dagli Unni distruttori d'Aquileia. Il che come potesse pregiudicare all'antichità di Cividale, io non so capirlo; perché in questo impegno apologetico si ponesse il Canussio, ed a ciò fosse indotto dal Consiglio della sua città, al quale nel fine dedica la sua opera". Queste righe fanno pensàre che lo studioso settecentesco non fosse riuscito a cogliere i termini della questione, né ad avvertire l'originalità della posizione del Canussio in merito all'origine della sua città.

[23] In effetti poco è rimasto del Canussio nella moderna storiografia friulana: dopo una breve citazione in F. DI MANZANO, Cenni biografici, 49-50, solo poche righe vengono dedicate al Canussio dal G. MARCHETTI, Il Friuli: uomini e tempi, 950.


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