M. Bettalli (Siena), Hoi ton Hellenon aporoi: i mercenari del mondo greco classico tra emarginazione, violenza e integrazione
1. Tra quanti studiano la società greca del IV secolo, è tuttora in voga l’immagine della polis minacciata nel suo ordine da bande di mercenari, prodotto della crisi economica e sociale. Nutrimento di tale visione sono alcuni passi molto noti di Isocrate e Demostene in primis (cfr. e.g. Isocr. IV 146; 167-168; VIII 44-46; Demosth. XIII 27; XXIII 139). Si tratta di un modello semplicistico, ma anche comodo. In ogni tempo, infatti, da parte dei difensori dell’ordine costituito si cerca di individuare la fonte del terrore fuori della comunità cui si appartiene, cadendo nell’illusione che sia sufficiente estirpare tale fonte per ristabilire una situazione di concordia e di pace.
2. Ovviamente, è vero che i mercenari sono spesso assai
pericolosi. In primo luogo, si rendono a volte protagonisti di episodi di straordinaria,
efferata violenza: Micalesso docet (Thuc. VII 29.4-5). Che la presenza
dei mercenari possa costituire una grave minaccia per la tranquillità
di una polis, è dimostrato, p.es., dai Poliorketika di Enea
Tattico (cfr. capp. XII-XIII).
Per sostanziare con un esempio questa affermazione, ci rivolgeremo al diario
che Senofonte tiene nell’Anabasi dei rapporti che i sopravvissuti dei
Diecimila intrattengono con le città greche del Ponto Eusino, una volta
superate le montagne dell’Armenia e raggiunta un’illusoria salvezza.
3. Il racconto che Senofonte ci offre di questa parte del viaggio
deve essere analizzato con particolare diffidenza. Quando pure Senofonte mette
in luce comportamenti a dir poco inquietanti dei suoi compagni, che vanno dalla
totale mancanza di rispetto di qualsiasi regola umana nei rapporti con gli indigeni
(basti per tutti il terribile racconto che lo stesso Senofonte fa in un’assemblea
di tutti i soldati, mentre si trovano a Cotiora: V 7.13-33), al disinvolto uso
del ricatto nei confronti delle stesse poleis greche (VI 2.5, nei confronti
di Eraclea), al tentativo - a Bisanzio - di prenderla con la forza, Senofonte
sembra attribuire la responsabilità di tutto ciò a pochi individui
censurabili.
L’importanza che la narrazione riveste concerne soprattutto l’atteggiamento
che una serie di comunità greche assumono nei confronti di un esercito
che non è espressione di una polis nemica o di qualsiasi nemico identificabile,
ma che si trova a passare attraverso il loro territorio e che quindi viene di
necessità visto come almeno potenzialmente ostile. Una tale situazione
prefigura il rapporto che le poleis greche di IV secolo si troveranno a dover
gestire con gli eserciti mercenari.
Il rapporto con le città greche da parte dell’esercito dei reduci
di Cunaxa è molto delicato, e richiede intelligenza e moderazione da
entrambe le parti: Senofonte sa benissimo che l’ingrediente principale
non è certo l’ammirazione o l’amicizia, ma la paura (cfr.
V 1.13). La situazione dell’esercito dei reduci appare un po’ patetica:
se ne stanno a celebrare agoni in luoghi quanto mai inadatti (IV 8.25-28, sulle
colline intorno a Trapezunte), mimando per quanto possibile la vita cittadina,
quando cittadini greci, a poche centinaia di metri, li considerano come degli
appestati.
4. Sarebbe troppo facile replicare alle accuse di violenza
nei confronti dei mercenari con la considerazione che essi non sono certo la
causa né prima né unica degli episodi di violenza e terrore: due
sole considerazioni a questo proposito basteranno.
a) Enea Tattico, nei già citati capitoli della sua opera, non fa alcuna
differenza tra la pericolosità dei nemici interni, degli alleati e dei
mercenari.
b) Già David Asheri, nel 1977, notava che la violenza tipica dei mercenari che si impadroniscono di una città - sostituirsi ai cittadini uccisi o fuggiti sposandone le mogli - è in qualche modo una misura che, in altre circostanze, poteva essere presa dalle stesse autorità cittadine per rimediare al flagello che mise a repentaglio l’esistenza di tante città: la scarsezza di uomini.
5. L’ipotesi che i mercenari fossero in buona misura persone in difficoltà - per motivi economici o “politici”, in quanto esuli - è plausibile, ma riguarda solo una parte di essi. A questo proposito, è infatti opportuno ricordare:
a) I casi - pochi, ma significativi, derivati dalle orazioni ateniesi, di cittadini ateniesi di buona condizione che svolgevano a lungo il mestiere di mercenario senza alcuna apparente riprovazione pubblica. Si può aggiungere a ciò la ottima condizione sociale e l’altrettanto rimarchevole livello culturale di molti comandanti mercenari.
b) Il forte senso di identità greca maturato nelle comunità mercenarie (cfr. Anabasi; tra i vari episodi, p.es. III 1.30-32); tale identità era basata, in larga misura, sulla “vita” precedente che i singoli mercenari avevano vissuto come membri rispettabili di comunità cittadine (Trundle).
c) Il caso degli Arcadi. Essi, come tutti sanno, hanno costituito per buona parte dell’età classica una larga percentuale dei mercenari greci in giro per il Mediterraneo; una volta creato, dopo Leuttra, il koinon arcade, è proprio grazie al ricordo della comune esperienza mercenaria che viene rafforzata la loro identità (cfr. Xen., Hell. VII 1.23).
6. Ignoro quanti mercenari ci fossero nel IV secolo: ignoro
anche se le volenterose stime di Parke siano attendibili. Credo si possa parlare
di un fenomeno in crescita, via via che ci si avvicina all’età
ellenistica; ma credo altresì che le stime sul V secolo, in genere, sottovalutino
il numero dei mercenari, così come credo che abbia ragione, con altri,
Roy nel considerare l’esperienza dei Diecimila sotto il segno della continuità
con gli anni precedenti e non come novità.
Condivido comunque le ultime ricerche (Burckhardt e a.) tese a dimostrare che
lo “spirito civico” e l’abitudine consolidata dei cittadini
a servire come soldati non è affatto morta nel IV secolo e che quindi
è comunque opportuno considerare i mercenari una forza complementare,
mai sostitutiva dei cittadini.
In ogni caso, i mercenari, quando non sono già inseriti in un contesto
sociale di cui sono parte non disprezzabile, cercano con ogni mezzo di rientrare
nel mondo da cui sono temporaneamente usciti. Anche le violenze di cui si macchiano
tendono, in ultima istanza, a recuperare quel ruolo di politai che nel mondo
greco garantisce la rispettabilità. L’immagine del rapporto mercenari/cittadini
è quella della porta girevole, non quella del muro.