M. Minkova (Lexington, KY), Terror et pavor in carcere: la testimonianza degli autori cristiani (un confronto tra Prudenzio e Boezio)

Partendo dalla curiosa affermazione di Prudenzio che ‘la prigione abbia l’aroma di nettare’ (Peristephanon, 5, 280), consideriamo il concetto di terror et pavor presso due autori cristiani, Prudenzio e Boezio. Nonostante il fatto che ammettiamo che le ragioni per cui si trovano in prigione i martiri cristiani e Boezio stesso sono diverse, scopriamo due atteggiamenti assai diversi in questi autori. Si riconosce in entrambi che la prigione sia un luogo pieno di terror, ma è diverso il modo in cui questo terror viene superato affinché non inspiri pavor. Per i martiri prudenziani ciò avviene d’una parte attraverso loro spirito combattente militare contra un nemico esterno ben definito, e d’altra parte in seguito al loro chiaro senso dell’utilità del proprio sacrificio. Così in Prudenzio la prigione diventa un’arena di lotta e trionfo, portando in sè il potere di redenzione e salvezza dell’animo. Per Boezio, da cui i concetti s’internalizzano, l’incarcerazione stessa non ha più nessuna rilevanza, visto che l’uomo possa legarsi con catene anche da dentro. La piena mancanza di pavor viene parallelamente con un distacco e liberazione completa dai vincoli terrestri. Questi atteggiamenti pongono i martiri di Prudenzio accanto agli altri esempi dell’eroicità attiva e pratica romana, mentre Boezio sta piuttosto assieme ai romani meditanti al modo greco, quali Cicerone e Seneca, ma anche accanto ai pensatori come Socrate, per cui la prigione era un luogo di meditazione.